Elias portolu è uno dei libri più belli di grazia deledda, premio nobel per la letteratura nel 1926. Il romanzo racconta la storia di un ex carcerato che torna nel suo paese natale in sardegna e si innamora della promessa sposa del fratello. Tra passione, rimorso, religione e tradizione, elias vive un conflitto interiore che lo porterà a una scelta drammatica e irrevocabile.
La deledda descrive con maestria e sensibilità la psicologia dei personaggi, il loro legame con la terra e la cultura sarda, le loro lotte interiori tra il bene e il male. Il romanzo è ricco di simboli, metafore, dialoghi intensi e descrizioni suggestive. Il paesaggio sardo diventa quasi un personaggio a sé stante, testimone e protagonista delle vicende umane.
Elias portolu è un romanzo che affronta temi universali come l'amore, il peccato, il destino, la fede, la libertà. È una lettura coinvolgente e profonda, che mostra il talento e la originalità della deledda, una delle più grandi scrittrici italiane di tutti i tempi.
Nel febbraio del 1815, a marsiglia, il marinaio edmond dantès viene falsamente accusato di bonapartismo e arrestato nel giorno delle nozze, alle soglie di una brillante carriera navale. Durante la prigionia nel castello d'if, uno scoglio in mezzo al mare, affina un odio feroce per gli autori della sua rovina e, quando l'amicizia con un altro prigioniero gli procura l'evasione nonché un favoloso tesoro, ne farà lo strumento di una vendetta grandiosa e spietata. Le mille identità che il conte assume per preparare la trappola ai suoi nemici, i suoi viaggi, gli avvelenamenti, gli intrighi, le scomparse, i ritorni: questo grande fiume creato dalla penna infaticabile di dumas sa far voltare pagina come pochi altri, con la stessa urgenza con cui i lettori di due secoli fa aspettavano l'uscita della puntata successiva.
'ci sono romanzi che non avrebbero bisogno di introduzioni. Appena iniziamo a leggerli, sin dalle prime pagine ci proiettano in una vita per noi impensabile pochi istanti prima, nella quale tuttavia ci orientiamo a meraviglia. [ . ] delitto e castigo è uno di questi romanzi, un'opera di bruciante attualità, nella quale dostoevskij ha saputo cogliere a partire dalla sua epoca l'eco di voci remote nella nostra cultura e oggi più che mai vibranti. Leggendo questo romanzo ti viene subito in mente lo sguardo vuoto e spento di tanti 'eroi' della nostra cronaca nera, ti risuona nella testa la voce minacciosa del dio della genesi che grida a caino: caino, che hai fatto? Ora tu sei maledetto dalla terra, sarai errante e vagabondo. E ti chiedi: e se fossi stato io? ' (dalla prefazione di damiano rebecchini). Un romanzo decisivo per la successiva narrativa novecentesca, per lo scavo psicologico dei personaggi e la ferocia dell'analisi emotiva. In una nuova traduzione, l'immortale storia di sofferenza e salvazione diventata uno dei classici più amati e influenti di tutti i tempi (e di tutte le letterature).
Scelto e introdotto da michela murgia, il libro inaugura un progetto della casa editrice dedicato a grazia deledda. «deledda ha una capacità simile a quella di delitto e castigo e de i fratelli karamazov di ritrarre la potenza trascinante del peccato» - a. Momigliano ragazza madre, la giovane olì abbandona il figlio di otto anni, anania, alle cure del padre benestante e di sua moglie, così da garantirgli un futuro migliore. Il bambino cresce a nuoro, nella casa paterna, studia e si fidanza con una ragazza facoltosa, prima di trasferirsi a roma per frequentare l'università. Il ricordo della madre è vivo nella sua mente, ma la vergogna di essere nato da una relazione extraconiugale e da una donna disonorata è a lungo più forte delle sue ambizioni borghesi, che rischiano di essere minate da un legame inviso alla società. Nessuna distanza, però, né fisica né sociale, attenua l'inquietudine interiore del protagonista. Rientrato in sardegna, anania scopre che la madre è ancora viva. Si decide perciò a tenerla con sé, sfidando le regole non scritte di una civiltà misogina, fino alla più sorprendente delle conseguenze.
Scritto a 22 anni e fin'ora inedito in italia, il serpente è il romanzo di esordio che consacrò stig dagerman come uno dei giovani autori di maggiore talento della sua generazione. «il serpente è ovunque, trattenuto dal seducente gioco a nascondino in cui, con estro spietato, è costantemente impegnata la prosa di dagerman, preso nel balletto delle ripetute dissimulazioni, nella fittissima rete di metafore per cui ogni cosa appare è un'altra cosa» - alessandra iadicicco, la lettura «una storia di guerra, una metafora dell'assurdo» - leonardo g. Luccone, robinson quando nel 1945 stig dagerman pubblicò il serpente fu accolto dalla critica come l'enfant prodige della letteratura svedese per la sua sorprendente modernità e la sua prosa potente e precisa. Scritto durante la seconda guerra mondiale e ambientato in una svezia nervosamente neutra in allerta militare, il serpente riflette tutta la sensibilità dell'autore per l'inconscio, la giustizia sociale e la psicologia della paura. In un primo momento il serpente sembra essere una raccolta di racconti fino a quando, in un brillante sviluppo della narrazione, le diverse storie si uniscono per rivelare le strutture tematiche sottostanti. Stig dagerman scrive con uguale abilità dal punto di vista dei vari protagonisti, e attraverso di loro riesce a capire l'abisso dell'ansia e della paura sia dei soldati che della gente comune. Ed è sempre il serpente la materializzazione di questa paura: c'è il serpente catturato da bill, un soldato di seconda classe che lo usa per imporsi su coloro che lo circondano; c'è il serpente che, riportato da uno dei soldati nella caserma, fugge dalla sua prigione e diffonde il terrore nella manciata di uomini che sono rimasti in questo immenso edificio polveroso e vuoto dopo la partenza del reggimento. In linea con la ferma convinzione della necessità etica (e politica) di non cedere a nessuna forma di consolazione, e soprattutto di fiducia nel futuro – un'idea faticosamente portata avanti in tutte le sue opere successive – stig dagerman sostiene la necessità di affrontare l'ansia direttamente, con la consapevolezza e l'introspezione, perché forse «questa è l'unica opportunità che abbiamo di mettere alla prova noi stessi».
Alle soglie del novecento, il piccolo mario vive a roma in una famiglia benestante. Il giorno del suo settimo compleanno, dopo una passeggiata al parco, il bambino si immerge in un silenzio inconsueto. Pochi minuti dopo, però, riacquisite le forze, non riconosce più la premurosa madre, arianna, e anzi le chiede con insistenza di essere riaccompagnato dalla madre vera, luciana. Sconvolta, arianna asseconda il desiderio del bambino, che le chiede con fermezza di essere chiamato ramiro. La tensione drammatica cresce di pagina in pagina, esplodendo in una rivelazione sconcertante: non solo luciana abita davvero nella casa in cui mario accompagna arianna, ma ha perso un bambino di sette anni, ramiro, proprio sette anni prima, ossia nell'istante esatto in cui mario è nato. Che mario sia, dunque, la reincarnazione del figlio di luciana? O forse qualcuno lo ha plagiato, giocando sulla fatalità di coincidenze incredibili?
Svolgimenti inattesi e finali imprevedibili, sorprese e invenzioni fantastiche in una narrazione pervasa di simboli e allegorie che trasformano vicende apparentemente minimali in rappresentazioni dell'universale condizione umana. L'arte di dino buzzati rappresenta una trasfigurazione potente e vigorosa della realtà e dell'angoscia dell'uomo, sublimata in atmosfere di suggestione metafisica. Con le sue fantastiche immersioni nei misteri della vita quotidiana e i suoi personaggi così strani eppure così veri, dino buzzati consegue, racconto dopo racconto, il suo scopo: «divertire e commuovere» il lettore, attirandolo nel suo mondo incantato per coinvolgerlo emotivamente, sorprenderlo e anche spaventarlo.
Un romanzo sui forti sentimenti e sulle passioni negative che inquinano l'animo umano, la storia di un uomo che, simile a satana, volle sentirsi uguale a dio, divenendo strumento della giustizia e della provvidenza divine. Il capolavoro di alexandre dumas, racconta le vicende di edmond dantès. Sbarcato a marsiglia con il pharaon, la nave mercantile di cui sta per essere nominato capitano, dantès viene arrestato nel mezzo della sua festa di fidanzamento con la bella catalana mercedes e accusato di bonapartismo. Dietro il suo arresto c'è l'invidia di tre uomini per la sua felicità e il suo successo: il pescatore fernando, suo rivale in amore, il contabile danglars, che aspira a conquistare il suo posto, e caderousse, un amico geloso. Nonostante proclami la sua innocenza, dantès viene incarcerato nel castello d'if, terribile prigione in mezzo al mare. Qui fa la conoscenza dell'abate faria, uomo intelligente e coltissimo, che gli racconta di un tesoro nascosto sull'isola di montecristo. Quando, dopo 14 anni, edmond riesce finalmente a fuggire, si impossessa di questo tesoro. Divenuto ricchissimo, torna in francia con il nome di conte di montecristo e un unico obiettivo: vendicarsi.