Molto più che semplice autobiografia, «il mondo di ieri» è il ritratto di un'epoca scomparsa, la suprema epopea di quella 'felix austria' che tanto segnò la storia e la cultura europea, quel mondo nel quale «ognuno sapeva quanto possedeva e quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: in cui tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi». Al centro di tutto sta la vienna imperiale, simbolo di un'epoca indimenticabile che zweig - esponente di una generazione che «ha imparato a fondo l'arte preziosa di non rimpiangere il perduto» - descrive in tutto il suo splendore e in tutte le sue contraddizioni. Pubblicato postumo, «il mondo di ieri» è segnato da un'atmosfera autunnale che imprime all'intera opera il severo suggello della modernità.
Il «matrimonio» è quello fra due aristocratici inglesi, entrambi scrittori, vita sackville-west e harold nicolson, e il «ritratto» è tracciato, a quattro mani, da vita stessa - in un'autobiografia-confessione rimasta inedita fino alla sua morte - e da suo figlio nigel nicolson. Una coppia molto particolare, vita e harold. Irresistibilmente attratti lei dalle donne e lui dagli uomini, erano costantemente innamorati di qualcun altro, e si concedevano a vicenda la massima libertà, consapevoli che il profondo affetto che li legava sarebbe uscito indenne, anzi rafforzato, dalle varie crisi che attraversava. Nella sua autobiografia, vita sackville-west racconta la sua infanzia, l'amore semi-innocente per una fanciulla (parallelo al suo fidanzamento con harold) e - dopo le nozze e due figli - il travolgente love affair con violet trefusis, che culminò in una rocambolesca fuga in francia, con i due mariti che inseguivano le fuggiasche su un minuscolo aeroplano. Alberto arbasino trova che «solo un delirio dei fratelli marx sull'orient express potrebbe accostarsi al frenetico dramma che sconvolge i quattro coniugi e gli otto suoceri, nonché parecchie zie cattive». Ma è soprattutto la storia di un nonmatrimonio che divenne un matrimonio felice sino alle nozze d'oro. Come scrisse vita nel 1960, due anni prima di morire: «e adesso, in là con gli anni, ci amiamo più profondamente che mai, e anche con maggior tormento, poiché vediamo prossima la fine. È tristissimo sapere che uno di noi due morirà prima dell'altro». Sarà lei a lasciare il suo posto per prima e da quel momento qualcosa si spezzerà per sempre in harold, fino a fargli perdere del tutto la voglia di vivere.
«scrivo libri da oltre cinquantanni. Sono stato abbastanza fortunato da evitare le grandi guerre e non esserne colpito, ma al tempo stesso sono cresciuto tra gli eroi che vi hanno partecipato e ho imparato dal loro esempio. Nella mia vita ho avuto spesso molta fortuna. Ho fatto cose che al momento sembravano pericolosissime, addirittura disastrose, ma da queste esperienze sono nate una nuova storia o una conoscenza più approfondita degli esseri umani, e la capacità di esprimermi meglio sulla pagina e scrivere libri che la gente ama leggere. Ho vissuto una vita che mai avrei potuto immaginare. Ho avuto il privilegio di conoscere persone di ogni angolo del mondo e sono stato ovunque il mio cuore abbia desiderato, e nel frattempo i miei libri portavano i lettori in molti, moltissimi luoghi. Dico sempre che ho fatto scoppiare guerre, dato fuoco a città, e ucciso centinaia di migliaia di persone, ma solo con l'immaginazione! » con la consueta maestria, wilbur smith racconta gli episodi più personali da cui hanno preso vita i suoi romanzi: dagli attacchi dei leoni agli incontri ravvicinati con feroci squali sulla barriera corallina, da quando si è perso nella savana senz'acqua o ha strisciato attraverso tunnel precari nelle miniere d'oro fino alla pesca dei marlin insieme a lee marvin e alla morte sfiorata durante un atterraggio d'emergenza su un cessna, dalle terribili esperienze vissute a scuola fino alla rinascita attraverso la scrittura e l'amore. «leopard rock», dal nome della tenuta in sudafrica che ha visto nascere i suoi personaggi più riusciti, è la testimonianza di uno scrittore la cui vita non ha nulla da invidiare ai romanzi che ci ha regalato.
'con uno sguardo mi ha reso più bella, e io questa bellezza l'ho fatta mia. Felice, ho inghiottito una stella' si parla molto di amore nelle poesie di wislawa szymborska: ma se ne parla con una così impavida sicurezza di tocco e tonalità così sorprendenti che anche un tema sin troppo frequentato ci appare miracolosamente nuovo. «sentite come ridono - è un insulto» scrive di due amanti felici. «È difficile immaginare dove si finirebbe / se il loro esempio fosse imitabile» - e ad ogni modo «il tatto e la ragione impongono di tacerne / come d'uno scandalo nelle alte sfere della vita». Anche parlando d'amore la voce della szymborska sa dunque essere irresistibilmente ironica: non a caso adam zagajewski diceva di lei che «sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del settecento». Ma sa anche essere, dietro lo schermo della colloquiale naturalezza e dell'ingannevole semplicità, grave e trafiggente, come quando affida a un panorama divenuto ormai intollerabile il compito di proclamare l'assenza («non mi fa soffrire / che gli isolotti di ontani sull'acqua / abbiano di nuovo con che stormire») o all'amore a prima vista quello, ancor più temerario, di smascherare il caso-destino che ci governa: «vorrei chiedere loro / se non ricordano - / una volta un faccia a faccia / in qualche porta girevole? / uno 'scusi' nella ressa? / un 'ha sbagliato numero' nella cornetta? / - ma conosco la risposta. / no, non ricordano».
Un berretto di panno e una spada, un calice e una medaglia; il modellino di una nave e una forchetta dai rebbi appuntitissimi; l'occhio di un martire cattolico incastonato in un reliquiario d'argento e lo schizzo di una bandiera: ecco i protagonisti di una grande storia mai raccontata, dove si agitano immani conflitti e privati sommovimenti. Come in un sogno barocco, tutto succede a teatro. Non sul palcoscenico però, ma negli ultimi posti della platea. Siamo in inghilterra, nel secondo cinquecento, quando le commedie e le tragedie di shakespeare appassionano un pubblico chiassoso e variopinto. Come in 'la storia del mondo in 100 oggetti' neil macgregor guarda al passato attraverso la lente della vita, e racconta questa volta fatti e antefatti degli oggetti che gli spettatori di shakespeare portavano con sé: aggeggi capaci di definire l'identità sociale dei loro possessori, manufatti curiosi che svelano via via il piccolo enigma che li accompagna, inattesi congegni che ritrovano un significato. Ogni cosa è una storia, e ogni storia cattura, per un attimo, la verità di esistenze comuni, forse lontane dal primo piano dei grandi eventi, ma testimoni e protagoniste della cultura materiale del loro tempo.
«scrivo libri da oltre cinquantanni. Sono stato abbastanza fortunato da evitare le grandi guerre e non esserne colpito, ma al tempo stesso sono cresciuto tra gli eroi che vi hanno partecipato e ho imparato dal loro esempio. Nella mia vita ho avuto spesso molta fortuna. Ho fatto cose che al momento sembravano pericolosissime, addirittura disastrose, ma da queste esperienze sono nate una nuova storia o una conoscenza più approfondita degli esseri umani, e la capacità di esprimermi meglio sulla pagina e scrivere libri che la gente ama leggere. Ho vissuto una vita che mai avrei potuto immaginare. Ho avuto il privilegio di conoscere persone di ogni angolo del mondo e sono stato ovunque il mio cuore abbia desiderato, e nel frattempo i miei libri portavano i lettori in molti, moltissimi luoghi. Dico sempre che ho fatto scoppiare guerre, dato fuoco a città, e ucciso centinaia di migliaia di persone, ma solo con l'immaginazione! » con la consueta maestria, wilbur smith racconta gli episodi più personali da cui hanno preso vita i suoi romanzi: dagli attacchi dei leoni agli incontri ravvicinati con feroci squali sulla barriera corallina, da quando si è perso nella savana senz'acqua o ha strisciato attraverso tunnel precari nelle miniere d'oro fino alla pesca dei marlin insieme a lee marvin e alla morte sfiorata durante un atterraggio d'emergenza su un cessna, dalle terribili esperienze vissute a scuola fino alla rinascita attraverso la scrittura e l'amore. «leopard rock», dal nome della tenuta in sudafrica che ha visto nascere i suoi personaggi più riusciti, è la testimonianza di uno scrittore la cui vita non ha nulla da invidiare ai romanzi che ci ha regalato.
Cos'è davvero la divina commedia? Non certo un polveroso tomo o una mera reminiscenza scolastica. Il poema immortale di dante è ben altro: una «strepitosa storia d'amore», piuttosto, un'«esplosione di entusiasmo per dio» e, soprattutto, il resoconto memorabile del viaggio più estremo e drammatico che un essere umano possa compiere. Un capolavoro che per la sua capacità di comunicare la potenza della fede cristiana e di parlare a ogni generazione, dovrebbe essere lettura indispensabile per noi cittadini spaventati di questo cupo xxi secolo, inghiottiti dal buio interiore della selva oscura in cui tutti, prima o poi, ci troviamo a vagare.
Lo studio ripercorre attraverso testimonianze letterarie in poesia e in prosa i legami che, nel corso di umanesimo e rinascimento, coinvolgono letteratura e arti pittoriche e scultoree, insistendo sulle diverse modalità di critica artistica, sui topoi letterari classici e la loro rielaborazione, e sul dibattito tra le arti. Parallelamente alla nascita e allo sviluppo di una riflessione analitica sull'arte e sulla figura dell'artista nel suo ruolo nella società, l'umanesimo crea un vocabolario tecnico atto ad esprimere non solo il giudizio critico assorbito dai classici, ma anche le nuove teorizzazioni frutto dell'indagine dei contemporanei.
Questo libro è un'avventurosa analisi del processo creativo e individuativo di un uomo, che affidandosi al potere di una scrittura ispirata è riuscito ad entrare in contatto con gli insegnamenti delle eredità archetipiche. Affidandosi e talvolta scontrandosi coi nemici e gli amici del suo mondo fantasmatico interiore, facendo rivivere - reinterpretandole - le sue emozioni, i conflitti, le paure e le doti attraverso le peripezie dei suoi personaggi romanzati, come fossero gli attori di uno psicodramma o i manichini di un teatro magico, ha dato avvio ad una catarsi simbolica collettiva. Come un ramoscello che oscilla tra le immense fronde mosse dai venti, si è tenuto in equilibrio muovendosi affannosamente e vivendo appassionatamente tra i contrari ma complementari aspetti del sé, fino alla tanto agognata armonia: il ricongiungimento con madre natura, anima di tutte le cose e fonte di vita. Ancorandosi alla maieutica della psicoterapia junghiana è riuscito ad incamminarsi con coraggio alla ricerca dell'anima perduta, a immergersi negli abissi della madre terra e a perdersi, per poi ritrovarsi.
Il «matrimonio» è quello fra due aristocratici inglesi, entrambi scrittori, vita sackville-west e harold nicolson, e il «ritratto» è tracciato, a quattro mani, da vita stessa - in un'autobiografia-confessione rimasta inedita fino alla sua morte - e da suo figlio nigel nicolson. Una coppia molto particolare, vita e harold. Irresistibilmente attratti lei dalle donne e lui dagli uomini, erano costantemente innamorati di qualcun altro, e si concedevano a vicenda la massima libertà, consapevoli che il profondo affetto che li legava sarebbe uscito indenne, anzi rafforzato, dalle varie crisi che attraversava. Nella sua autobiografia, vita sackville-west racconta la sua infanzia, l'amore semi-innocente per una fanciulla (parallelo al suo fidanzamento con harold) e - dopo le nozze e due figli - il travolgente love affair con violet trefusis, che culminò in una rocambolesca fuga in francia, con i due mariti che inseguivano le fuggiasche su un minuscolo aeroplano. Alberto arbasino trova che «solo un delirio dei fratelli marx sull'orient express potrebbe accostarsi al frenetico dramma che sconvolge i quattro coniugi e gli otto suoceri, nonché parecchie zie cattive». Ma è soprattutto la storia di un nonmatrimonio che divenne un matrimonio felice sino alle nozze d'oro. Come scrisse vita nel 1960, due anni prima di morire: «e adesso, in là con gli anni, ci amiamo più profondamente che mai, e anche con maggior tormento, poiché vediamo prossima la fine. È tristissimo sapere che uno di noi due morirà prima dell'altro». Sarà lei a lasciare il suo posto per prima e da quel momento qualcosa si spezzerà per sempre in harold, fino a fargli perdere del tutto la voglia di vivere.