Se esiste il testo sull'amore nella nostra civiltà, a cui ogni testo successivo non può che ricondursi, questo è il simposio, il dialogo di platone che più di ogni altro ha mantenuto intatto il «fiore della gioventù» e ci si offre naturalmente non già come una disputa filosofica, ma come una lunga conversazione – forse la più bella conversazione della letteratura – fra spiriti «eccellenti» (oltre a socrate, il suo grande avversario aristofane e il bellissimo alcibiade) che, uno dopo l'altro, prendono la parola e raccontano di una potenza inesauribile: eros. C'è chi dice che sia il dio più antico, altri invece sostiene che è il dio più giovane, altri che è un grande demone. A tutti esso appare «meraviglioso fra gli uomini e gli dèi». Le due forme di afrodite, il mito dell'androgino, le origini dell'antichissimo desiderio «di fare, di due, uno» e così di «guarire la natura umana», «la morbidezza e «l'asprezza» dell'amore, la natura del desiderio: con articolazione sottilissima, attraverso le varie voci, platone tocca tutti i punti sensibili dell'eros e infine affida a una vera iniziatrice ai «misteri d'amore», diotima, il compito di schiuderne i segreti ultimi. E qui, come pure nell'ultima, trascinante apparizione di alcibiade, diventano espliciti, forse più di altre volte in platone, i riferimenti alla «sapienza» e all'«enigma». Anche per questo, dunque, giorgio colli è stato interprete profondamente congeniale di questo testo, in cui risuonano, limpidi e misteriosi, alcuni temi che sono stati centrali per la sua interpretazione del mondo greco.