Talismano dei disobbedienti, manifesto segreto di ogni libertario: il 'discorso della servitù volontaria' è un capolavoro clandestino che non perdona. Intrattabile e senza fissa dimora dal giorno in cui vide la luce, contiene la resa dei conti di un giovane e di un nobile, Étienne de la boétie incarna entrambe le qualità, con le passioni collettive più enigmatiche da decifrare: la paura della libertà e l'ansia della dipendenza. L'oppressione si regge infatti anche sulla connivenza delle vittime, uomini che amano le proprie catene più di se stessi.
Che cosa vuoi dire, esattamente, 'democrazia'? Quali sono le condizioni necessarie per renderla 'possibile'? In quali e quanti modi può funzionare il processo che porta milioni di elettori a scegliersi poche decine di rappresentanti? Chi sono i filosofi che hanno formulato le grandi leggi della democrazia? In che cosa consistono la libertà politica e l'eguaglianza? Esistono diverse 'gradazioni' di democrazia? Quali sono le differenze tra la democrazia dei moderni e quella degli antichi? Come si sono sviluppati i modelli politici del liberalismo e del socialismo? Perché dobbiamo preferire la democrazia? Che cosa distingue la 'destra' dalla 'sinistra'? La democrazia si può esportare? Tra l'occidente e l'islam è in corso un conflitto di civiltà? Qual è il rapporto tra democrazia e sviluppo economico? La democrazia è in pericolo? E qual è il suo futuro?
Uscito per la prima volta in francia nel 1931 grazie alla mediazione di daniel halévy (e in italia solo nel 1948), immediatamente commentato da trockij, bruciato dai nazisti sulla piazza di lipsia e costato al suo autore l'arresto e il confino a lipari per 'manifestazioni di antifascismo compiute all'estero', 'tecnica del colpo di stato', spieiata dissezione delle varie tipologie di golpe e delle loro costanti, viene subito avversato da tutti. Sta di fatto che ancor oggi lo si legge d'un fiato: non solo per l''attualità' della sua analisi di ingegneria politica, ma soprattutto per lo stile, insieme icastico e concitato, geometrico e visionario, dove malaparte sembra assumere le cadenze di un allievo di tacito. Stile che risalta in tutte le sequenze su trionfi e fallimenti del golpismo classico, a partire dalla violenta 'campagna di stampa' con cui cicerone smaschera la congiura di catilina, ma che tocca l'acme nelle ricostruzioni dei colpi di stato dei primi decenni del secolo scorso, come nelle pagine sulla imminente rivoluzione a pietrogrado, con le 'dense nuvole nere sulle officine di putilow' cui si contrappone la nebbia rossastra del sobborgo di wiborg dove si nasconde lenin. E nella parte finale spiccano, ritratti con rara vividezza, i volti e le psicologie degli autocrati a capo dei vari totalitarismi: stalin, mussolini e hitler.
Qual è la lezione che questo libro destina al mondo occidentale dell'epoca e al tempo stesso - per l'attualità delle sue intuizioni - concede in eredità ai contemporanei? Semplicemente che non può esservi alcun compromesso tra la libertà e i diritti 'sociali' degli individui. Il fascismo, il socialismo, il nazismo, il comunismo, totalitarismi che, secondo hayek, conducono alla via della schiavitù, sembrerebbero ormai appartenere ai residui del 'secolo breve'. Questi regimi dispotici non hanno saputo adattarsi alle sfide della modernità, e quindi hanno dovuto soccombere sotto il peso delle loro nefandezze etiche e inefficienze economiche. Mentre il sistema democratico, insieme al mercato, si sono rivelate le soluzioni più idonee, seppure in sé imperfette, per il mantenimento e il miglioramento degli equilibri politici e per il progresso morale e materiale della società civile. Emerge, però, la delusione dell'autore nei confronti del destino storico della democrazia. La radice delle sue distorsioni originarie sta proprio nell'opposizione dei popoli all'idea di libertà, che si manifesta nell'anelito masochista alla schiavitù. Il problema sollevato da hayek - perché emergono i peggiori ovvero, per contro, soccombono i migliori - costituisce uno dei maggiori crucci per i cittadini del nostro tempo, la causa della loro delusione e del loro distacco dalle istituzioni politiche. Prefazione di raffaele de mucci.
I politici hanno sempre guardato il calcio con un certo interesse. Raramente questo sguardo è stato ricambiato, nelle intenzioni e nei fatti. Dall'avvento della repubblica a oggi in italia è raro che i protagonisti della politica siano rimasti immuni dal fascino del football. Tifosi più o meno dichiarati, insospettabili manovre dietro le quinte, scelte di cuore o meramente di propaganda. Dai presidenti della repubblica a quelli del consiglio, leader di sinistra inspiegabilmente ammaliati dal potere bianconero, guerriglieri con la nemesi degli arbitri, aspiranti sindaci, ex capi ultrà divenuti segretari di partito e segretari di partito con abitudini da capo ultrà. Il calcio nostrano, e non solo, spesso ha intrecciato le sue storie con quelle di chi era seduto, o siede ancora, sugli scranni più alti del belpaese. E forse proprio qui sta il fascino: il potere passa, la palla continua a rotolare libera.
La politica è fare i conti con le cose come sono davvero: cioè spesso non belle e non pulite. Bisogna entrare nel fango, a volte, per aiutare gli altri a uscirne. Ma tenendo sempre lo sguardo verso l'orizzonte delle regole, dei valori, delle buone ragioni. Un dialogo appassionato e appassionante. Un prontuario per l'esercizio del pensiero critico, per sottrarsi alle manipolazioni, per riaffermare - contro ogni fanatismo - il valore laico ed emozionante della verità e dell'impegno politico. Perché l'avvenire appartiene ai non disillusi.