Nell'amministrare la giustizia conta la legge scritta. Se facessimo delle deroghe al codice, non saremmo ingiusti? Diciamo che la giustizia deve essere uguale per tutti, ma forse non abbiamo mai riflettuto sul significato di questo principio: la legge per essere giusta deve essere applicata senza eccezioni. Ma la legge scritta dai parlamenti può contemplare ogni singolo caso umano? La legge è una macchina impersonale, che non guarda in faccia a nessuno. Eppure, per altro verso, proprio il fatto che la legge non guarda in faccia a nessuno, ci protegge dai soprusi dei potenti. La bilancia, come immagine della giustizia, rappresenta proprio questo: gli uomini sono tutti uguali di fronte alla legge. La mia convinzione profonda è che in uno stato di diritto e in uno stato in cui tutti partecipano, anche se indirettamente, alla gestione della cosa pubblica e in cui esistono delle strade per modificare le regole che si ritengono ingiuste, le regole esistenti vanno osservate e basta. Ma è anche necessario fare una specie di gerarchia delle regole, perché ci sono delle regole che hanno un rilievo particolarissimo, un rilievo eccezionale per la convivenza e ci sono altre regole che invece hanno un rilievo molto più limitato.
Leoluca bagarella, giovanni brusca, pasquale cuntrera: nomi famosi, nomi infami, che rimangono scolpiti nella memoria di tutti perché rappresentano la mafia delle stragi dell'estate del 1993, dell'uccisione di giovanni falcone e pietro borsellino, del potere di toto riina e bernardo provenzano. Catturare questi uomini, spesso latitanti per anni, nascosti tra le pieghe di una sicilia e di una palermo in cui il territorio spesso sfugge al controllo dello stato, è un'impresa investigativa di grande difficoltà: si tratta di saper parlare con i pentiti, conoscere il modo di ragionare dei mafiosi, muoversi tra la criminalità comune, le donne dei capimafia e alcuni spietati assassini. Alfonso sabella è stato per anni magistrato inquirente a palermo, al tempo del pool antimafia guidato da giancarlo caselli. Ha catturato bagarella e brusca, ha visitato le camere della morte dove avvenivano le torture e le uccisioni più cruente, ha raccolto i racconti di pentiti maggiori e minori e soprattutto ha accumulato una enorme riserva di storie. Storie con tutta la violenza delle guerre di mafia di cui fanno le spese anche gli innocenti, storie di intercettazioni telefoniche e imboscate per strada, storie in cui le gesta dei mafiosi si modellano sui film e la televisione. Soprattutto storie vere, che ci fanno vivere in prima persona le emozioni, i drammi, le delusioni e i trionfi di un magistrato che per anni è stato un cacciatore di mafiosi di professione.
Due protagonisti di mani pulite. Due punti di vista opposti. Una sola giustizia. 'a mio parere il carcere, così come lo intendiamo e lo applichiamo, invece di essere una misura utile è dannosa' - gherardo colombo 'se perdoni sempre tutti, i cittadini non avranno mai senso di responsabilità, che passa anche attraverso la sottoposizione di una persona alle conseguenze delle sue azioni' - piercamillo davigo un confronto serrato, una conversazione aperta e sincera, non priva di accenti polemici, sui temi più scottanti della giustizia in italia. Grazie alla loro lunga esperienza nelle aule dei tribunali, gherardo colombo e piercamillo davigo, due tra i più noti magistrati del pool di mani pulite, forniscono in queste pagine non soltanto una diagnosi scrupolosa dei tanti mali che affliggono la giustizia del nostro paese, ma avanzano suggerimenti e proposte di riforma, senza nascondere conflittualità e divergenze d'opinione, talvolta radicali. Lontani da ogni astrattismo, calati nella realtà della vita quotidiana, i loro interrogativi ci aiutano a capire perché le questioni più delicate e controverse che investono il mondo del diritto - le stesse che hanno ispirato pensatori come aristotele kant, sant'agostino e foucault - ci riguardano così da vicino. È la giustizia, infatti, che traccia i confini della nostra libertà. È la giustizia che indica il grado di civiltà di uno stato e la cultura diffusa che permea le sue istituzioni. Ma quand'è che una legge può dirsi davvero 'giusta'? Basta minacciare una pena per dissuadere il ladro o il truffatore dal commettere un reato? Il carcere è l'unica soluzione? È dunque più efficace educare o punire? Quanto è diffusa la corruzione in italia, e come mai, nonostante la stagione di mani pulite e le tante inchieste che hanno svelato l'intreccio perverso tra politica e affari, non accenna a diminuire?
Il racconto del giudice cantone prende avvio dal suo ultimo giorno alla direzione distrettuale antimafia di napoli: ripercorrendo la sua esperienza, cantone mostra in che modo un bravo studente di giurisprudenza che voleva addirittura fare l'avvocato sia finito per diventare il nemico numero uno dei boss di mondragone e casal di principe, più di una volta minacciato di morte e da anni costretto a vivere sotto scorta insieme ai familiari. Un'evoluzione che non nasce da una sorta di vocazione missionaria, ma prende forma attraverso un percorso graduale e, talvolta, persino casuale, dove però rimane sempre salda la sua originaria passione per il diritto. Quella che gli fa trattare con la medesima professionalità e dedizione le vicende di un anziano signore che si rivolge alla giustizia per la tragica morte del figlio dovuta a un caso di malasanità e le sofisticatissime indagini condotte insieme al ros per arrivare alla cattura di michele zagaria, la primula rossa dei casalesi. Ma l'amaro realismo di queste pagine finisce per evidenziare come l'universo camorrista abbia confini ben più estesi e radici ben più profonde dei vertici di qualche clan. Per cui, fino a quando ci saranno politici, funzionari, imprenditori, uomini delle forze dell'ordine e liberi professionisti corrotti, conniventi o sottomessi, la camorra resterà come un'idra cui la giustizia può tagliare una o qualche testa che subito ricresce, mentre coloro che vi si oppongono individualmente sono votati a un pericoloso destino di isolamento.
Il libro presenta il percorso autobiografico di un protagonista delle grandi inchieste degli anni ottanta e novanta. I valori di famiglia, l'educazione e le tappe formative sfociano nella decisione di entrare in magistratura: la narrazione scorre rievocando la cultura del sessantotto, gli omicidi dei colleghi alessandrini e galli; l'adesione a magistratura democratica; la clamorosa inchiesta su licio gelli e la loggia p2 e gli altrettanto clamorosi