«molti sono i cuochi, ma c'è un solo alain tonné. Io l'ho conosciuto una notte sul molo di marsiglia, sedeva nell'ombra, accarezzava distratto un polipo e osservando un cormorano mormorava: 'arrosto? Scottato al sale dell'himalaya? Emulsionato con vellutata di alghe? ' . Mi ha subito fatto pensare a un uomo tormentato da qualcosa: un rimpianto amoroso, un traguardo non raggiunto, parole non dette, droghe avariate. Scusandomi con il polipo, mi sono seduto accanto a lui e gli ho chiesto di raccontarmi la sua storia. Lui mi ha squadrato per lunghi minuti, poi ha detto: 'non ti parlerò del torero'. Ho annuito. Ha raccontato. Così, senza un perché, ho colto il segreto delle sue grandi ricette, delle alghe sferificate all'alito di cernia e del riso tatuato all'incenso, dei vicini al sale e del pollo pollock, creazioni con cui lo chef si è proiettato ben oltre i confini dell'alta cucina, della sperimentazione gastronomica e del buonsenso, entrando nel mito. E ho ascoltato le storie dei suoi trionfi planetari, dal fuorissimo salone di sondrio allo show cooking al forum di davos, dal rinfresco fatale per un nobile scozzese fino a una memorabile sfilata di moda sulla cupola di san pietro. Ma poi. Poi non so se mi sono addormentato, o se accarezzare i polipi abbia effetti lisergici. So che mi sono risvegliato il giorno dopo, solo sul molo, con una gran fame e nessuna traccia di alain tonné. Stretto nella mano sinistra avevo un biglietto con scritto: 'senta, il cormorano lo faccia in crosta, come il gabbiano'».