L'ultima volta che videro piangere totò riina fu al funerale del padre e del fratellino, uccisi da un residuato bellico. Era l'estate del '43 e totò, un picciotto analfabeta e sporco, primo figlio maschio, diventava a soli 13 anni il capofamiglia. Mezzo secolo dopo, al suo arresto, era l'uomo più potente di cosa nostra, ormai diventata cosa sua. In un'ascésa sanguinaria e spietata, aveva portato i contadini di corleone ai vertici del governo mafioso, riscrivendo completamente le regole del gioco tra famiglia e famiglia, tra mafia e stato. La sua caduta, dopo una latitanza ventennale, protetta forse solo da un'entità superiore, poteva far credere che l'avventura fosse conclusa. Per raccontarla, bolzoni e d'avanzo sono andati - e più volte ritornati - nella sua terra, a parlare con la sua gente, con chi lo ha conosciuto, combattuto, tradito, giudicato. E, ancora oggi, continua a temerlo. Perché tutto è rimasto come prima. Al posto di totò ci sono i figli giovanni e salvo. Le generazioni si danno il cambio ma i cognomi restano sempre quelli: riina, provenzano, bagarella, bontate e inzerillo, di maggio e gambino. Corleonesi e palermitani sono di nuovo sul piede di guerra. E sembra che solo un miracolo li potrà fermare.