Merkel, sarkozy, monti, draghi, tutti a ripetere lo stesso mantra: austerità, pareggio di bilancio, taglio della spesa pubblica. E intanto la grande recessione ci rituffa nell'incertezza totale del settembre 2008, quando la lehman brothers crollò gettando i mercati finanziari nel panico. Se allora erano le banche a dover passare sotto le forche caudine della speculazione, adesso è la volta degli stati, specialmente quelli europei, indebitati fino al collo per far fronte alla crisi e costretti a sottomettere il proprio debito al giudizio giornaliero dei mercati e alle bizze delle agenzie di rating. Dopo grecia e irlanda, anche spagna e italia sono arrivate a un passo dal baratro, mentre la politica monetaria appare impotente nell'impedire la frantumazione dell'europa. Ma se l'austerità fosse il rimedio che aggrava la crisi invece di risolverla? Se i tagli e l'aumento delle tasse invece di risanare il bilancio deprimessero ulteriormente l'economia e quindi il gettito fiscale? Emiliano brancaccio e marco passarella, rinnovando la lezione di keynes, ci spiegano perché, di fronte a una crisi di domanda come la nostra, la linea dell'austerità va combattuta, in quanto conservatrice, antisociale e quindi antidemocratica. Perché l'austerità è di destra, anche se in bocca a politici di tutti gli schieramenti.