Sin dalle prime pagine di questo libro - quando vediamo thérèse, il piccolo volto 'livido e inespressivo', uscire dal palazzo di giustizia dopo essere stata prosciolta dall'accusa di omicidio premeditato - ci appare chiaro per quale ragione questo memorabile personaggio non abbia mai smesso di ossessionare mauriac. E non potremo che essere anche noi soggiogati dal fascino ambiguo di quella che l'autore non esitava a definire 'una creatura ancora più esecrabile' di tutte quelle uscite dalla sua penna. La seguiremo, questa scellerata eppure irresistibile creatura, nel viaggio verso argelouse: un pugno di fattorie oltre il quale ci sono solo i viottoli sabbiosi che si inoltrano verso l'oceano in mezzo a paludi, lagune, brughiere, 'dove, alla fine dell'inverno, le pecore hanno il colore della cenere'. Là thérèse ritroverà quel marito che ha tentato di avvelenare, ma che l'ha scagionata per salvare 'l'onorabilità del nome': un ragazzone di campagna amante della caccia e del buon cibo, che lei ha sposato nella speranza di trovare rifugio da se stessa e da un pericolo oscuro. Ma neanche mettersi una maschera, cercare di vivere come anestetizzata, inebetita dall'abitudine, è servito: le 'sbarre viventi' di una famiglia ottusa e conformista non sono riuscite a impedire che si compisse ciò che era scritto.