Nel 1946, in un sanatorio della conca d'oro - castello d'atlante e campo di sterminio - alcuni singolari personaggi, reduci dalla guerra, e presumibilmente inguaribili, duellano debolmente con se stessi e con gli altri, in attesa della morte. Lunghi duelli di gesti e di parole; di parole soprattutto: febbricitanti, tenere, barocche - a gara con il barocco di una terra che ama l'iperbole e l'eccesso. Tema dominante, la morte: e si dirama sottilmente, si mimetizza, si nasconde, svaria, musicalmente riappare. E questo sotto i drappeggi di una scrittura in bilico fra strazio e falsetto, e in uno spazio che è sempre al di qua o al di là della storia - e potrebbe anche simulare un palcoscenico o la nebbia di un sogno. 'ingegnoso nemico di se stesso', finora sfuggito a ogni tentazione e proposta di pubblicare, uomo, insomma, che ha letto tutti i libri senza cedere a pubblicarne uno suo, gesualdo bufalino - professore a comiso, oggi sessantenne - è con questa 'diceria' al suo primo libro. Scritta negli anni, come lui dice, 'della glaciazione neorealista', questa contemplazione viene alle stampe in un tempo meno gelido, più sciolto e più libero perché sia giustamente apprezzata.