Ha vent'anni luisu quando dalle dolci colline della contadina fraus il padrone lo spedisce in groppa al puledro baieddu nella città che mussolini s'è inventato intorno all'industria estrattiva del prezioso carbone sardo. Ignaro, anche se scosso da un brutto sogno premonitore, luisu è atteso da una vita di miniera, sotto un cielo diverso da quello che ha conosciuto nella sua vita campestre: la volta nera del pozzo uno. Stesso destino spetterà al suo cavallo, convertito in bestia da traino per cunicoli asfittici. Però carbonia e le sue miniere, accettate da luisu con rassegnazione, sono anche un mondo che raccoglie disparati pezzi di mondo. Nel male, come il capo mezzo teutonico che pare sempre spuntare dal nulla o le insidie del lavoro in miniera; e nel bene, come dondi il toscano lì confinato perché sovversivo, come l'amore da scoprire quando si torna ai pochi svaghi sotto il cielo di su. Per questo 'doppio cielo' è un perfetto romanzo di formazione, ma dai risvolti imprevedibili, ed è appunto un romanzo su altri 'doppi', sulla conoscenza dell'altro, della convivenza/conflitto fra più culture, e soprattutto del 'doppio', per non dire del multiplo, che sta dentro ognuno di noi.
Alta italia, nell'inverno fra il 1944 e il 1945 si muove il protagonista di questa storia: efis brau, sardo. Cinque anni prima - ora ne ha solo diciassette - attraversando il mare, è arrivato in piemonte per studiare dai preti, ma da qualche mese si ritrova costretto nelle file di un esercito mezzo tedesco e mezzo italiano che solo la confusione di quegli anni avrebbe potuto concepire. Uno sbandamento generale: fra repubblichini, lotta partigiana, occupazione tedesca, avanzata anglo-americana. Efis è di sentinella nella scuola requisita di calamandrana, quando nella notte gelata vede portare come prigioniero, con modi alquanto spicci, un uomo che ha conosciuto durante gli anni di studio. Quello è ricu gross, ci ha fatto la vendemmia una volta, su per i colli, e chissà perché l'hanno acciuffato e lo malmenano. Gli interrogativi si moltiplicano quando efis, una sera, casualmente, non visto, assiste al comportamento da compagnoni fra ricu gross e il capitano capo franco wolf. Prima pedate e poi pacche sulle spalle? Qualcosa non quadra. Ma molto altro non quadra in questi tempi da disfatta. Lncerto, avventuroso e rocambolesco è il percorso che attende efis brau, fra camuffamenti, illusioni e rovesci di una realtà tragicamente magmatica dove non si sa più qual è l'amico e qual è il nemico, dove intanto occorre salvare 'la pelle intera'.
Giulio angioni, antropologo dell'università di cagliari, è scrittore di romanzi e racconti, di ambientazione sarda, in cui ritorna una specie di malinconia delle origini, di inquietudine delle radici che si esprime anche in questo giallo: 'assandira', dal nome di un agriturismo, gestito da un figlio, ritornato con moglie da un emigrazione lontana, e da un padre pastore, meta di turisti in cerca di una teatrale e impudica ricostruzione dell'antica vita agropastorale, che viene dato alle fiamme per consumare un vero e proprio dramma di difesa identitaria, mostruosa mescolanza di moderno ed arcaico.
Una notte di luglio del 1258, mannai murenu, giovane garzone di vinaio, si ritrova morto e sepolto nella presa e distruzione della città di santa gia da parte dei pisani. Settant'anni dopo invece racconta di come si salva e poi con altri si rifugia in un'isoletta dello stagno di cagliari, già lebbrosario e adesso sgombra, dopo che i lebbrosi sono stati catapultati a infettare la città assediata. Inizia così la narrazione delle molte avventure di un gruppo di rifugiati nell'isola nostra: oltre a mannai, due sediari, paulinu servo allo scriptorium di un convento, vera donzella nobile, akì schiava persiana, il vecchio ebreo baruch, tre soldati tedeschi di ventura, tidoreddu pescatore dello stagno, il cane dolceacqua, poi il fabbro bizantino teraponto e altri fino a oltre un centinaio. Nei guai della guerra si fingono lebbrosi, così protetti dal terrore del contagio. Inventano una vita di espedienti, protagonisti lo stagno e la voglia di viverci liberi, in una grande avventura collettiva.
Giulio angioni è antropologo e scrittore. In questo suo nuovo romanzo, narra la storia del magistrato sigismondo arquer, arso al rogo dall'inquisizione nel 1571. Nel racconto di angioni la statuaria dei personaggi storici si fa carne voce e anima delle persone, da arquer che combatte fino in fondo per la vita, al marrano diego, alla spiritata di lapola in una notte di tregenda, a dominiga figus, concubina del diavolo, ai giudici e agli sgherri dell'inquisizione. E in continui intrecci fra passato e presente, altre figure di un tempo sereno: da zio cocco che suonando fa ballare il mondo, alla maliziosa monacella pia, a letizia con cui sigismondo conosce 'la terribile forza dell'amore'.
Fra immaginazione e realtà, fra dimensione onirica e stato di veglia, si muove la vicenda di un uomo qualunque in un afoso agosto di una città come tante. Un uomo che credeva di sapere 'le cose come sono' in questo mondo finché una donna, improvvisamente sbucata nel buio pesto della notte, non gli si fa accanto aggredendolo con una scenata di gelosia. Della donna conosce solo la voce e le braccia emerse dal buio, ornate da braccialetti muniti di ciondoli tintinnanti che rappresentano personaggi e oggetti della mitologia sarda. Lei stessa ha nominato tanit, la venere mediterranea. Da questo episodio iniziale si diparte il filo giallo del mistero in grovigli di accadimenti fino a una inquietante quanto strana morte. Un giallo conturbante questo nuovo romanzo di giulio angioni, anche per l'insistente obbligata domanda che attraversa il lettore: da che parte stanno 'le cose come sono'? Dalla parte della realtà quotidiana e con piedi a terra in cui sembra volersi radicare il protagonista josto o da quella dell'evento straordinario che ci rimescola agli dèi? Angioni scrive in una prosa garbata da cui traspaiono la cultura, il senso dell'umorismo, e il grande affetto dell'autore per la sua sardegna, per le antiche civiltà fiorite nell'isola, per il suo mare, la sua luna, gli affascinanti paesaggi.