Copenaghen. Nina borg è un'infermiera della croce rossa: lavora con i rifugiati, è abituata a situazioni d'emergenza, a chiamate improvvise. Trascorre gran parte della sua esistenza in un mondo che i danesi stessi vedono di rado; un mondo in cui ricatto, maltrattamenti, feroci rese dei conti costituiscono la quotidianità. Un mondo nel quale i bambini spariscono ogni giorno, senza che nessuno ci faccia caso o si chieda dove siano finiti, in quali mani, per quali scopi. Ma nina non è capace di chiudere gli occhi; non sa tracciare una linea fra la sua vita privata e quella lavorativa, separare le sue responsabilità personali da quelle di chi le vive e le lavora accanto. Troppi fardelli per le sue esili, fragili spalle. Perché nina è una madre svagata, capace di dimenticare di andare a prendere i figli all'uscita di scuola; una moglie assente, persa nelle sue improbabili missioni umanitarie. E che dunque annaspa, si confonde, cade. Poi, un giorno, qualcosa avviene. Una sua collega le chiede di andare a ritirare una valigia in un deposito bagagli. All'interno, rannicchiato, c'è un bambino di tre anni. Il piccolo miracolosamente è ancora vivo, ma nina sa che la sua sopravvivenza non potrà essere delegata ad altri, che le autorità si limiterebbero a scaricare 'la pratica' a un istituto. Smarriti entrambi tra le maglie di un enigma che li sovrasta, isolati, braccati, il bambino e la donna sanno che la loro vita è appesa a un filo.