Questa è una storia che comincia nel 1934 in una casa verde in un villaggio nell'estremo nord della svezia. È una storia che rimbalza tra uppsala, copenaghen, parigi, los angeles, broadway, reykjavík e berlino, e che (non) finisce ai giorni nostri. È la storia di un bambino quasi perfetto, di un ragazzo baciato dal talento e dal successo, di un uomo devastato dall'alcolismo. È la storia di chi suo malgrado si è sempre trovato al centro della storia, e si è sentito in dovere di osservare. È una storia sulla nascita del terrorismo alle olimpiadi di monaco, sul processo alla banda baader-meinhof, sulla mano di dio di maradona, sulla caduta del muro di berlino vista da piazza venceslao. E olof palme, rudolf nurejev, ingmar bergman hanno i loro cammei. È una storia che se è cominciata così bene come ha potuto finire così male? È una storia di solitudine e resurrezione, dove si scopre che non sono le domande a essere sbagliate, ma quasi sempre lo sono le risposte, taglienti come ghiaccio, implacabili e fondamentaliste. È una storia sulla vita, l'unica, quella che non viene restituita quando la prima è stata sprecata. È la storia di un intellettuale che non solo ha raccontato la nostra epoca come pochi hanno saputo fare, ma vi ha anche lasciato un segno profondo. È la storia più onesta, lucida e coinvolgente che per olov enquist abbia mai raccontato. È la sua storia.