Protetto dietro il sottile paravento della vita quotidiana, inoue racconta l'ultima stagione della madre in tre momenti, tre parchi movimenti che solo la macchina da presa impercettibile e fedele di un regista come ozu avrebbe saputo rispettare e restituire con così lucida, pudica e struggente compostezza: la comune tragedia della vecchiaia estrema.
Quando nel 1949, il gornalista, poeta e critico d'arte inoue yasushi pubblica il suo primo romanzo ha quarantadue anni. In quest'opera l'autore trova nella brevità una misura ideale e, nell'oscillazione tra il detto e il non detto, raggiunge un miracoloso equilibrio narrativo. Un equilibrio difficile e impervio come il gioco amoroso che tiene legati i destini dei quattro personaggi, un uomo e tre donne, e che li accompagna nel corso degli anni senza mai turbare la calma ritualità delle loro esistenze. Eppure il romanzo è attraversato da una tensione costante, da una rabbia sorda e trattenuta che esplode alla fine, quando ogni menzogna viene svelata, ogni passione consumata e a regnare è la consapevolezza che ogni essere è abitato da una vita segreta.
Un piccolo hotel incastonato in una scogliera scoscesa, la spiaggia di ciottoli, il mare indaco: per sugi, che dopo infiniti fallimenti deve affrontare anche il disonore, è l'approdo cercato - lo scenario ideale per morire. Si è concesso un unico, singolare lusso: tre giorni, il tempo necessario per leggere il resoconto del favoloso viaggio che nel xiii secolo guillaume de rubrouck compì attraverso l'impero dei mongoli. Nulla tranne quel libro lo tiene legato alla vita. Ma l'unica altra ospite dell'albergo, la giovane nami, nel registrarsi ha indicato come motivo del suo soggiorno «mors»: forse una criptica richiesta di soccorso, o una sfida lanciata alla sorte. È fatale che fra loro nasca un silenzioso dialogo, che ha la stessa iridescenza del mare in cui entrambi hanno deciso di scomparire. E di astrali rispondenze, impercettibili cataclismi, arcane complicità, beffarde rappresaglie scatenate dai luoghi (come l'abbagliante giardino di pietra di kyoto) sono intessuti anche gli altri due, non meno indimenticabili, racconti qui riuniti. Racconti che esplorano, con la sovrana maestria che i lettori del fucile da caccia ben conoscono, quell'indecifrabile e ingannevole universo che si spalanca dietro la parola «amore».