Una prolungata immersione nelle profondità dell'io, una turbolenta esplorazione dei luoghi più reconditi e inaccessibili della nostra interiorità. Questo ha significato per carl gustav jung portare alla luce i ricordi di una vita e scrivere la propria autobiografia. Un travaglio attraverso il quale lo psichiatra di zurigo riuscì a far riaffiorare gli intimi legami che univano le idee della maturità, esposte all'interno delle sue opere scientifiche, alle sue più torbide memorie: l'infanzia, i viaggi, le immagini sconvolgenti che ne segnarono le prime esperienze oniriche, la passione per la filosofia, la letteratura e le religioni, gli studi e i primi successi professionali; fino all'incontro con sigmund freud, la collaborazione tra i due, le incomprensioni e le rivalità. Pagine in cui jung racchiuse la sostanza spirituale del proprio insegnamento e tracciò una meravigliosa geografia dell'animo umano.
«nel mio lungo lavoro di psicoterapeuta mi sono accorto che quasi nessuno 'si va bene': tutti sono alla ricerca di un se stesso migliore. E tutti credono che, quando avranno raggiunto la meta che si sono prefissati, finalmente potranno stare bene con se stessi. Cambiare il proprio carattere, eliminare le ferite del passato, togliere dalla propria vita le cose che non vanno bene, sono in genere i tre principali motivi di infelicità. Le sofferenze nascono soprattutto dalla nostra resistenza a diventare fluidi come l'acqua. Bisogna 'lasciar correre', rinunciando a qualsiasi sforzo di 'cambiare le cose', di salvare gli amori finiti, di andare d'accordo a tutti i costi con gli altri, di fare progetti, di darsi obiettivi, di correre dietro a qualcosa o a qualcuno. Le cose che devono accadere nella vita avvengono spontaneamente quando smetti di dirti dove andare, come fare, di lamentarti, chiedere consigli. È in questo stato che irrompe la felicità. » raffaele morelli
Carl gustav jung lavorò al libro rosso dal 1913 al 1930 e ancora in tardissima età lo definì l'opera sua capitale. L'opera in cui aveva deposto il nucleo vitale e di pensiero della sua futura attività scientifica. Eppure non volle mai autorizzarne la pubblicazione, e dopo di lui anche gli eredi si attennero alla consegna. Così solo oggi, a ottant'anni dalla sua conclusione e a mezzo secolo dalla morte del suo autore, questo testo straordinario esce dal caveau della banca svizzera in cui era conservato. Il libro rosso è il libro segreto di jung, scrigno privato di un'anima che lì si cela nella sua nudità, e che un comprensibile pudore ha inteso proteggere da sguardi curiosi, e si situa al centro di una straordinaria sperimentazione artistica e psicologica che ne fa un unicum nel panorama novecentesco. Quella che jung chiamerà più tardi
«il principio filosofico che sta alla base della nostra concezione della regolarità delle leggi di natura è la causalità. Se il rapporto tra causa ed effetto dimostra di aver solo validità statistica e soltanto una verità relativa (. ) ciò significa che il legame tra eventi è in certe circostanze di natura diversa da quella causale ed esige un diverso principio interpretativo». «a differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell'inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spaziotemporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l'inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e