Diego alatriste y tenorio, dopo aver combattuto nei vecchi battaglioni di fanteria durante le guerre delle fiandre, tira a campare come spadaccino al soldo nell'elegante e corrotta madrid del diciassettesimo secolo. Non è uno dei tanti veterani che vanno a zonzo spavaldi per la capitale millantando inverosimili gesta d'eroismo, e nemmeno uno degli spregiudicati sicari pronti a qualsiasi compromesso purché ben remunerato: il capitano alatriste segue, con coerente freddezza, un codice d'onore tutto suo. Lo sprezzante sorriso che sembra una smorfia, lo sguardo chiaro come l'acqua, i lunghi silenzi, il fare rude e sbrigativo, alatriste si ubriaca d'azione e di vino per celare la sua metafisica disperazione. È fiero, impavido, orgoglioso, amato e rispettato da molti amici, ma mortalmente odiato da altrettanti nemici, come il sinistro e implacabile inquisitore fra emilio bocanegra, lo spietato assassino gualterio malatesta, o lo scaltro e diabolico segretario del re, luis de alquézar. In un suggestivo scenario storico, le imprese di alatriste ci trascinano negli intrighi di corte di una spagna paradossale, padrona del mondo, ancora in preda a sogni di grandezza, ma già con il presentimento di un futuro nefasto. Viottoli bui, illuminati soltanto dal luccichio delle spade sguainate negli agguati, taverne in cui si scrivono sonetti tra baruffe e bottiglie di vino, cortili dove le rappresentazioni delle commedie di lope de vega finiscono a coltellate: è il 1623. Cominciano le avventure del capitano alatriste.