In un libretto su una strage di stato a ridosso della rivoluzione siciliana del 1848, pubblicato qualche anno fa (monografia storica, ma scritta con la grazia e l'umorismo del narratore), camilleri ripeteva un'idea a lui evidentemente molto cara. Che i siciliani sono «tragediatori», sono paghi cioè soltanto quando possono finalmente fondere insieme la vita e la scena, recitare, appunto sulla scena della vita, ciò che succede loro veramente tornando in illusione a comandare sulla sorte e mutandola in sogno. Di questo teatro della vita camilleri mostra di amare soprattutto il lato di commedia; e commedia - racconto della commedia che un paese siciliano di fine ottocento inscena vivendo una catena di morti e un amore cocciuto - è la stagione della caccia. Ma non commedia dell'arte, farsa di macchiette; al contrario, genere alto, in cui ciascuna delle parti in gioco è un personaggio scolpito - con un brio che dà tenace divertimento - nell'atto in cui svolge il suo gioco delle parti. Camilleri spiega di aver tratto l'idea del romanzo (che avrebbe potuto essere piegato linearmente a intrigo giallo, e lo è invece a sorpresa, tortuosamente) da una battuta registrata nella famosa inchiesta sulle condizioni della sicilia del 1876. All'interrogante, che chiedeva se si fossero verificati fatti di sangue in un paesino, veniva risposto: «no. Fatta eccezione del farmacista che per amore ha ammazzato sette persone». Come a dire: non è successo nient'altro che un sogno. Il sogno che questo libro viene a raccontare.
Nessun libro come il 'diario notturno' (1956) riesce a contenere in sé finemente distillata nella sostanza e nella forma - l'intera opera di ennio flaiano. Vi ritroviamo infatti tutti i costituenti primari del suo modo di essere, psicologico e letterario: il pessimismo lucido e dolente; la coscienza del nulla vissuta attraverso la quotidiana consunzione dei volti, dei luoghi, dei ricordi; la percettività del moralista di scuola francese, perso in un paese che si preoccupa di tutt'altro. E vi ritroviamo tutte le forme che flaiano prediligeva: il racconto ingegnoso e fulminante, l'apologo ora amaro ora grottesco, il taccuino di viaggio che intaglia immagini icastiche, il dialogo corrosivo e sarcastico, l'aforisma che non si lascia dimenticare.
Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica - un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata - ha la forma dell'acqua (''che fai? ' gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. 'qual è la forma dell'acqua? ' . 'ma l'acqua non ha forma! ' dissi ridendo: 'piglia la forma che le viene data'). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell'ingegnere luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell'assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L'autore del quale, andrea camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l'intreccio con una facilità e una felicità d'inventiva, un'ironia e un'intelligenza di scrittura che - oltre il divertimento severo del genere giallo - appartengono all'arte del raccontare. Cioè all'ingegno paradossale di far vedere all'occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.
Premio bancarella 1995. Sofia amundsen è una ragazzina dalla vita per niente straordinaria. Tutto cambia quando cominciano a spuntare strane domande dalla sua cassetta delle lettere, poi le curiose risposte dell'eccentrico filosofo alberto knox per cui sofia approderà a una bislacca festa di compleanno, nel giardino degli amundsen. Ma la storia di sofia non è soltanto un giallo raffinato o un incredibile romanzo d'avventura. Si tratta anche della più divertente storia dell'uomo e del suo pensiero che sia mai stata scritta.
Quando clive s. Lewis si lanciò, nel corso degli anni trenta, nella azzardata impresa di scrivere una trilogia di fantascienza metafisica, il mondo non era ancora invaso da miriadi di racconti di guerre stellari. Lewis li anticipò, ma andò ben oltre. Di fatto, ciò che più gli stava a cuore, non era la creazione di remoti scenari cosmici, ma qualcosa di più avventuroso: narrare una nuova sfida fra bene e male in cui il bene riesca a vincere in modo plausibile. E qui, nella descrizione della lotta fra l'eroe ransom e il feroce weston che vuole corrompere l'innocenza del pianeta abitato dalla signora verde, sta l'essenza del romanzo.
A pietroburgo, lungo i canali deserti che emergono nella luminescenza ininterrotta della notte di maggio, quattro notti bianche scandiscono la dinamica del racconto. Due anime si parlano dal profondo senza mai essersi viste prima, eppure conoscendosi da sempre. Il giorno di pioggia che alla fine subentra romperà l'incanto, ma nulla di ciò che è stato vissuto o sognato potrà più essere cancellato. C'è qualcosa di insolito e di chiaro in questo racconto del primo dostoevskij. Anche lo spazio del cielo è grande, sopra una pietroburgo inconsueta, rarefatta e radiosa, lontana dai vicoli malsani di più frequenti vicende dostoevskiane. Qui la magia notturna della primavera nordica si fa protagonista e diviene il regno di ogni possibilità. Tutto allora può accadere, anche un incontro fatale che sembra sognato o un sogno che prende i connotati della realtà.
Bernhard scrisse per ultima questa parte dell'autobiografia che racconta i suoi primi anni, fino all'entrata nel collegio di salisburgo. Ed è come se, tornando alle radici di angosce e orrori, egli raggiungesse uno stato di euforia, di leggerezza, di primordiale scoperta, altre volte celato o piegato alla lotta feroce con il mondo circostante. Qui tutto comincia con un bambino di otto anni che si getta in una sfrenata spedizione in bicicletta. «sarebbe stato del tutto contrario alla mia natura scendere dalla bicicletta dopo qualche giro; come tutte le imprese che iniziavo, anche questa la spingevo fino all'estremo». In questo bambino che si lancia con la bicicletta fino all'estremo c'è già tutto bernhard. Ma in una versione più ariosa, di elementare felicità. Aspetto che ritroveremo anche nei ritratti mirabilmente nitidi del nonno, della madre e degli amici d'infanzia. Tutte le torture che il mondo tiene in serbo già si intravedono, si presagiscono o irrompono sulla scena (siamo negli anni del nazismo e della guerra) – ma anche, con grande naturalezza, l'irresistibile meraviglia del bambino davanti a una tazza di cioccolata calda, quando i nonni lo portano con loro nel vasto mondo, a pochi chilometri da casa.
Inizialmente pubblicato a puntate sul 'giornalino della domenica' tra il 1907 e il 1908, il libro è scritto in forma di diario: il diario di giannino stoppani, detto gian burrasca. Questo soprannome, datogli in famiglia a causa del suo comportamento molto irrequieto, è divenuto col tempo un nuovo modo di definire tutti i ragazzini 'discoli'. E giannino di guai ne combina davvero tanti: fa scappare i fidanzati delle sorelle, rompe vasi, allaga la casa, strappa l'unico dente di zio venanzio, dipinge di rosso il cane di zia bettina, tira l'allarme di un treno. Alla fine i genitori decidono di mandarlo in collegio. Anche qui, tuttavia, riuscirà a combinarne di tutti i colori, ottenendo anche di sostituire la solita minestra di riso con la pappa col pomodoro.
Ad arborlon, la mitica capitale del regno degli elfi, la popolazione sta per essere investita da uno spaventoso cataclisma. L'eterea, la pianta magica che protegge tutto l'antico popolo dalle forze del male, sta soccombendo sotto un magico attacco. Da ogni parte stanno per irrompere mostri delle tenebre e demoni spaventosi. Solo il giovane lauren, alla testa di un pugno di eroi, troverà il coraggio di opporsi alle forze del male.