Per la prima volta in un libro, i risultati della commissione d'inchiesta sul disastro del moby prince, che conducono finalmente a un passo dalla verità storica, ventisette anni dopo quel tragico 10 aprile 1991. Un racconto appassionante che ripercorre tutta la vicenda, fino alla storia inedita e clamorosa di un accordo riservato tra le parti, avvenuto due mesi dopo la strage. «se vogliamo trovare la verità forse dobbiamo allontanarci dai tribunali» – dalla testimonianza di un familiare delle vittime questa è la storia di una strage impunita, archiviata per ventisette anni come un tragico incidente. Livorno, 10 aprile 1991, ore 22. 25. Un traghetto passeggeri, il moby prince, sperona la petroliera agip abruzzo della compagnia statale snam ferma all'àncora. La collisione apre uno squarcio sulla fiancata della nave, il combustibile fuoriuscito prende fuoco e scatena un incendio. Centoquaranta vittime, la più grande tragedia della marineria civile italiana dal dopoguerra. Secondo la ricostruzione ufficiale, stabilita da due sentenze assolutorie e altrettante richieste di archiviazione, la causa dello scontro sarebbe stata «una nebbia fittissima». E non ci fu soccorso perché le vittime morirono pochi minuti dopo la collisione. Caso chiuso. Questo libro, con documenti, ricostruzioni e testimonianze inedite, è la clamorosa storia di un riscatto. La storia appassionante di una battaglia arrivata a una svolta solo di recente, nel gennaio 2018, con la pubblicazione del documento finale della commissione d'inchiesta sulle cause del disastro. Finalmente abbiamo una verità storica che può essere raccontata. Una verità che ancora oggi fa troppa paura.
Il 16 ottobre 1998, su mandato del giudice spagnolo garzón, il dittatore cileno pinochet viene arrestato a londra con l'accusa di genocidio, terrorismo e tortura. Negli articoli raccolti in questo volume, scritti tra il 1998 e il 2003, luis sepúlveda ci racconta le fasi successive della vicenda e le sue reazioni, e insieme ripercorre con lucidità la storia cilena dal golpe dell'11 settembre 1973 sino all'attuale
Il sud, e in particolare la capitanata, è diventato da diversi anni meta di decine di migliaia di immigrati che accorrono per la stagione della raccolta del pomodoro. Raccogliere l'
«autunno tedesco è uno dei migliori libri mai scritti sulle conseguenze della guerra, nella tradizione di grandi classici come quello di john reed sulla russia e di edgar snow sulla cina. » henning mankell «di fronte al corto circuito linguistico e morale che pervadeva i testimoni tedeschi, dagerman compì un'operazione coraggiosa: si assunse la responsabilità dello sguardo. La responsabilità di raccontare ciò che per quasi tutti era meglio lasciare sepolto fra le macerie» – dalla postfazione di giorgio fontana nel 1946 furono molti i cronisti che accorsero in germania per raccontare quel che restava del reich finalmente sconfitto, ma dal coro di voci si distinse quella di uno scrittore svedese di ventitré anni, intellettuale anarchico e narratore dotato di una sensibilità fuori dal comune, inviato dall'expressen per realizzare una serie di reportage poi raccolti in un libro che è considerato ancora oggi una lezione di giornalismo letterario. Mentre le testate di tutto il mondo offrono il ritratto preconfezionato di un paese distrutto, che paga a caro prezzo gli orrori che ha seminato e dal quale si esige un'abiura convinta, dagerman, libero da ogni pregiudizio ideologico e rifiutando ogni generalizzazione o astrazione dai fatti concreti e tangibili, si muove fra le macerie di amburgo, berlino, colonia, su treni stipati di senzatetto e in cantine allagate dove ora vivono masse di affamati e disperati, cercando di capire nel profondo la sofferenza dei vinti. Ne emerge un quadro molto più complesso di quello che è comodo figurarsi. Mentre ci si accanisce a cercare nostalgici nazisti, dagerman si chiede come può un padre che vede morire il figlio di stenti dichiarare che ora sta meglio di prima; mentre le potenze occupanti pensano a punire e ad allestire processi, dagerman descrive la «messinscena» di una denazificazione di facciata e la morte spirituale di un paese che è troppo impegnato a lottare ogni giorno con la morte per riflettere sui propri errori, perché «la fame è una pessima maestra» per educare i colpevoli. Con il suo acume analitico e la sua empatia capillare, dagerman scava nelle contraddizioni della germania postbellica offrendoci un manifesto di accusa contro tutte le guerre, e una riflessione amaramente attuale sul potere, la giustizia e lo stato.
Agosto 2008: un volo notturno porta guy delisle a gerusalemme, dove il fumettista e la sua famiglia trascorreranno un anno della propria vita per dare modo a nadège, la compagna di guy, di partecipare a una missione di medici senza frontiere. Vivranno a beit hanina, un quartiere nella zona est della città che sin dalla prima passeggiata si mostrerà, in tutta la sua desolazione, decisamente diverso dalla gerusalemme propagandata dalle guide turistiche; e si destreggeranno più o meno goffamente in una quotidianità fatta di checkpoint e frontiere - teatro di perquisizioni e infiniti quanto surreali interrogatori -, delle mille sfumature di laicità e ultraortodossia, di tensioni feroci e contrasti millenari, e della disperata speranza, della rabbia e della frustrazione del popolo palestinese, in lotta ogni giorno contro l'occupazione, devastato dall'atrocità di un attacco (la tristemente nota operazione piombo fuso) di cui l'autore si trova a essere basito spettatore. Una quotidianità condizionata dunque da grandi questioni, eppure fatta, come ogni altra, di piccoli momenti, narrati dall'autore di 'pyongyang', 'cronache birmane' e 'shenzen'.
Viaggiatore curioso e acuto, kapuscinski si cala nel continente africano e se ne lascia sommergere, rifuggendo tappe obbligate, stereotipi e luoghi comuni. Abita nelle case dei sobborghi più poveri, brulicanti di scarafaggi e schiacciate dal caldo, si ammala di tubercolosi e si fa curare negli ambulatori locali; rischia la morte per mano di un guerrigliero; ha paura e si dispera. Ma non rinuncia mai allo sguardo lucido e penetrante del reporter, all'affabulazione del narratore: che parlino di amin dada o della tragedia del ruanda, di una giornata in un villaggio o della città di lalibela, tassello dopo tassello le pagine di 'ebola' compongono il mosaico di un mondo carico di un'inquieta e violenta elettricità.
Tiziano terzani e l'asia, una storia lunga una vita. Ma è terzani a raccontare l'asia o è l'asia a raccontare terzani? Difficile dirlo, tanto forte è il legame che quest'uomo decise di stringere con il più misterioso e contraddittorio dei continenti. Leggendo questo libro, che nell'avvincente varietà delle sue pagine si offre come autobiografia e reportage, cronaca di costume e racconto d'avventura, ci si trova a rivivere gli eventi che hanno segnato la storia asiatica degli ultimi trent'anni, a ripensare ai grandi ideali che l'hanno formata e ai protagonisti delle sue svolte, a dare uno sguardo al suo futuro. E al tempo stesso terzani invita a prestare ascolto all'altra voce, quella dell'oriente vero, vissuto nella sua quotidianità, in mezzo alle donne e agli uomini, alle difficoltà, ai contrasti, ai riti, alle curiosità, ai mille volti del continente che più degli altri sembra destinato a influenzare il nuovo secolo che è cominciato.
Nel 1887, la reporter nellie bly, fingendosi una rifugiata afflitta da paranoia, si fece rinchiudere nel manicomio dell'isola blackwell, allo scopo di scoprire le condizioni di vita delle donne ricoverate. 'battevo i denti e tremavo, il corpo livido per il freddo che attanagliava le mie membra. All'improvviso, tre secchi di acqua gelida mi furono versati sulla testa, tanto che ne ebbi gli occhi, la bocca e le narici invase. Quando, scossa da tremiti incontrollabili, pensavo che sarei affogata, mi trascinarono fuori dalla vasca. Fu in quel momento che mi sentii realmente prossima alla follia'. Nel suo reportage, nellie bly racconta i soprusi e le violenze che le pazienti subivano per opera di crudeli infermiere e medici poco capaci.
Un viaggio di settemila chilometri che cavalca la gobba montuosa della balena-italia lungo alpi e appennini, dal golfo del quarnaro (fiume) a capo sud (punto più meridionale della penisola). Parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sulle onde ed evoca metafore marine, come di chi veleggia in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste l'elettricità, incontri grandi vecchi come bonatti o rigoni stern, scivoli accanto a ferrovie abitate da mufloni e case cantoniere che emergono da un tempo lontanissimo, conosci bivacchi in fondo a caverne e santuari dove divinità pre-romane sbucano dietro ai santi del calendario. E poi ancora ti imbatti in parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come francesco guccini o vinicio capossela. Un'italia di quota, poco visibile e poco raccontata. Le due parti - o forse i due 'libri', alla maniera latina - del racconto, alpi e appennini, hanno andatura e metrica diverse. Le alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti ben illuminati e percorse da grandi strade. Gli appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l'identità profonda della nazione. Questo racconto di 'monti naviganti' è cominciato sul quotidiano 'la repubblica' ed è diventato un poema di uomini e luoghi, impreziosito da una storia 'per immagini' della fotografa monika bulaj, che ha seguito paolo rumiz in alcune tappe di questa avventura.
'imperium' è la narrazione del viaggio di un 'esploratore' molto speciale attraverso terre, realtà, storie per lo più ancora sconosciute. Nel momento in cui il grande impero sovietico si dissolve in mille rivoli e staterelli, la cronaca personale di kapuscinski scopre e racconta oscure e violente realtà, sommerse in una confusione di lingue e culture che rimandano al mondo dopo il crollo della torre di babele. Un viaggio nello spazio e nel tempo, un racconto di ricordi in cui le esperienze passate si intrecciano a quelle presenti nel darci, come dice salman rushdie, 'una veritiera immagine del mondo'.