Sinossi Libro
«uno dei romanzi che più ho amato in vita mia. Pubblicandolo nel 1964, anche l'autore avvertì di avere scritto il proprio capolavoro – e aveva alle spalle una meraviglia come 'addio a berlino' (da cui 'cabaret'). In effetti, si tratta di un testo il cui equilibrio narrativo è praticamente perfetto: perfettamente in bilico tra commozione e distacco – un racconto dove non c'è una virgola di troppo, non una di meno. » – mario fortunato già negli anni trenta, quando scrisse «addio a berlino», christopher isherwood sosteneva di voler trasformare il suo occhio di romanziere nell'obiettivo di una macchina fotografica. Ma per lungo tempo – attraverso libri molto diversi fra loro, e spesso segnati dai personaggi fittizi o reali che raccontavano – l'intenzione rimase una di quelle fantasticherie stilistiche che spesso gli scrittori inseguono per tutta la vita senza realizzarle mai. E invece nel suo ultimo romanzo – questo – isherwood trasforma una giornata nella vita di george, un professore inglese non più giovane che vive in california, in un'asciutta, e proprio per questo struggente, sequenza di scatti. Non è una giornata particolare per george: solo altre ventiquattr'ore senza jim, il suo compagno morto in un incidente. Ventiquattr'ore fra il sospetto dei vicini, la consolante vicinanza di charlotte, la rabbia contro i libri letti per una vita ma ormai inutili, e il desiderio di un corpo giovane appena intravisto ma che forse è già troppo tardi per toccare. Quanto basta per comporre un ritratto che non si può dimenticare, e che alla sua uscita sorprese tutti, suonando troppo vero per non essere scandaloso.