Ovidio morì duemila anni fa relegato da augusto sul mar nero. Non riuscì mai a comprenderne il perché. Forse 'le metamorfosi', il suo più ampio poema, spaventarono il principe: ispirato com'è all'idea, modernissima, che nulla nell'universo è stabile, ma tutto dall'eternità muta e muterà. La materia incessantemente si trasforma, non è stata creata e non si distrugge. Gli dèi divengono uomini, gli uomini dèi, oppure animali, piante, aria, acqua: fiumi, laghi. Il poema è insieme il più grande racconto del mito, di tutti i miti, che la letteratura abbia mai tentato. Nessun poeta, nemmeno omero e virgilio, ha tanto ispirato la pittura e la scultura. Ma la dotta lira ha creato musica, da poliziano a strauss, attraverso monteverdi, cavalli, scarlatti, bach, händel, pergolesi, porpora, dittersdorf, haydn, cherubini, clementi, berlioz, liszt, offenbach, massenet, e tanti altri, più di ogni altra voce poetica: voce poi echeggiata e variata per l'ultima volta nel novecento dall'arte di d'annunzio. Il teatro musicale nasce nel nome di ovidio, e nei secoli opere, drammi musicali, cantate, sinfonie e concerti traggono alimento dalla sua poesia; poi, dai grandi ritratti di donne eroiche, innamorate, fedeli, infedeli, abbandonate presenti nelle 'metamorfosi' e, con i loro lamenti, nelle 'eroidi'; dalle favole del calendario pagano nel poema dei fasti. Apollo, dafne, orfeo, euridice, arianna, medea, teseo, giunone, giove, dioniso, venere, amore, mercurio, cibele, latona, diana, morfeo, persefone, plutone, pan, ercole, fetonte, atteone, le baccanti, perseo, galatea, polifemo, fedra, il minotauro, icaro, glauco, pigmalione, danae, semele, marsia, ulisse, sempre rinascono in note. Con loro le favole del caos, della notte, degli inferi, dell'olimpo, dell'origine dell'universo, del diluvio. Questo libro racconta il mito nella metamorfosi della musica.