La storia di enea è la storia di un lungo viaggio attraverso il mediterraneo e della dolorosa sorte che tocca a chi scappa dalle avversità e dagli orrori. È la storia senza tempo di un eroe che dopo tanto peregrinare trova una nuova terra da poter chiamare casa. È la storia delle radici di roma e delle nostre. Enea in questi tempi lo definiremmo un migrante, un profugo. Come molti che oggi raggiungono le coste europee scappa da una guerra, quella di troia; costretto a lasciarsi alle spalle la propria casa e la donna che ama, portandosi in spalle il vecchio padre anchise e tenendo per mano il figlio ascanio. Insieme ad altri uomini e donne, che come lui hanno perso quasi tutto, si mette in mare senza una meta, senza un porto sicuro a cui approdare; con la sola certezza di dover fuggire per sopravvivere. Da quel momento per lui inizia un'esistenza da straniero. Accolto a cartagine dalla regina didone, malgrado il sentimento che li unisce è costretto ad abbandonarla per seguire il suo destino. Giulio guidorizzi si immerge nei versi di virgilio e interpretandoli, con lo sguardo attento del classicista, li trasforma in un grande saggio dal respiro narrativo rinnovandone la forza senza tempo. I romani sapevano di discendere da un advena, uno che viene da fuori, accompagnato da fuggiaschi che avevano attraversato il mare rischiando mille volte di morire e scomparire nelle acque. «l'impero romano, – scrisse seneca, – ha come fondatore un esule, un profugo che aveva perso la patria e si portava dietro un pugno di superstiti alla ricerca di una terra lontana. Farai fatica a trovare ancora una terra abitata dagli indigeni: tutto è il risultato di commistioni e di innesti». I greci al contrario pensavano di essere nati dalla terra, come un albero. Gli ateniesi si vantavano di essere autoctoni: il loro primo re, cecrope, era sbucato dal suolo come un serpente e per questo aveva la parte inferiore del corpo coperta di scaglie. «noi siamo stati sempre qui, – dicevano, – la nostra gente è nata da questa terra; possiamo accogliere i supplici e gli stranieri, anzi è la nostra legge a imporlo, ma i veri ateniesi saremo sempre noi, i figli del serpente ». I romani non pensavano cosí. Il loro eroe fondatore veniva da una terra lontana, ma arrivando non trovò il deserto: solo uomini selvatici e primitivi. Eppure non li volle come schiavi ma come compagni.