Scelto e introdotto da michela murgia, il libro inaugura un progetto della casa editrice dedicato a grazia deledda. «deledda ha una capacità simile a quella di delitto e castigo e de i fratelli karamazov di ritrarre la potenza trascinante del peccato» - a. Momigliano ragazza madre, la giovane olì abbandona il figlio di otto anni, anania, alle cure del padre benestante e di sua moglie, così da garantirgli un futuro migliore. Il bambino cresce a nuoro, nella casa paterna, studia e si fidanza con una ragazza facoltosa, prima di trasferirsi a roma per frequentare l'università. Il ricordo della madre è vivo nella sua mente, ma la vergogna di essere nato da una relazione extraconiugale e da una donna disonorata è a lungo più forte delle sue ambizioni borghesi, che rischiano di essere minate da un legame inviso alla società. Nessuna distanza, però, né fisica né sociale, attenua l'inquietudine interiore del protagonista. Rientrato in sardegna, anania scopre che la madre è ancora viva. Si decide perciò a tenerla con sé, sfidando le regole non scritte di una civiltà misogina, fino alla più sorprendente delle conseguenze.
Scritto a 22 anni e fin'ora inedito in italia, il serpente è il romanzo di esordio che consacrò stig dagerman come uno dei giovani autori di maggiore talento della sua generazione. «il serpente è ovunque, trattenuto dal seducente gioco a nascondino in cui, con estro spietato, è costantemente impegnata la prosa di dagerman, preso nel balletto delle ripetute dissimulazioni, nella fittissima rete di metafore per cui ogni cosa appare è un'altra cosa» - alessandra iadicicco, la lettura «una storia di guerra, una metafora dell'assurdo» - leonardo g. Luccone, robinson quando nel 1945 stig dagerman pubblicò il serpente fu accolto dalla critica come l'enfant prodige della letteratura svedese per la sua sorprendente modernità e la sua prosa potente e precisa. Scritto durante la seconda guerra mondiale e ambientato in una svezia nervosamente neutra in allerta militare, il serpente riflette tutta la sensibilità dell'autore per l'inconscio, la giustizia sociale e la psicologia della paura. In un primo momento il serpente sembra essere una raccolta di racconti fino a quando, in un brillante sviluppo della narrazione, le diverse storie si uniscono per rivelare le strutture tematiche sottostanti. Stig dagerman scrive con uguale abilità dal punto di vista dei vari protagonisti, e attraverso di loro riesce a capire l'abisso dell'ansia e della paura sia dei soldati che della gente comune. Ed è sempre il serpente la materializzazione di questa paura: c'è il serpente catturato da bill, un soldato di seconda classe che lo usa per imporsi su coloro che lo circondano; c'è il serpente che, riportato da uno dei soldati nella caserma, fugge dalla sua prigione e diffonde il terrore nella manciata di uomini che sono rimasti in questo immenso edificio polveroso e vuoto dopo la partenza del reggimento. In linea con la ferma convinzione della necessità etica (e politica) di non cedere a nessuna forma di consolazione, e soprattutto di fiducia nel futuro – un'idea faticosamente portata avanti in tutte le sue opere successive – stig dagerman sostiene la necessità di affrontare l'ansia direttamente, con la consapevolezza e l'introspezione, perché forse «questa è l'unica opportunità che abbiamo di mettere alla prova noi stessi».
Sono tutte in lacrime, le cameriere ebree del praga, alla vigilia delle nozze del padrone: certo, hanno sempre saputo che lui andava a letto con tutte, «eppure ognuna era convinta in cuor suo che con lei si sarebbe comportato in modo diverso. L'avrebbe portata via dalla cucina per sistemarla dietro al bancone e metterla alla cassa a contare il denaro». Ora, però, che nell'annuncio affisso in vetrina c'è scritto, nero su bianco, che «in onore del felice e fortunato matrimonio del proprietario di questo ristorante, sender prager, con la sua fidanzata, edye barenboim» i poveri del quartiere riceveranno un piatto di crauti e salsicce, hanno perso ogni speranza. Si è fidanzato all'improvviso, «quell'uomo solido e vigoroso, dagli occhi lucenti e dai capelli neri impomatati»: perché all'improvviso, a quarantaquattro anni, ha avuto paura della vecchiaia e della solitudine. Così, lui che delle donne non si è mai fidato, si è lasciato indurre dal suo rabbi a sposare quella ragazza di buona famiglia hassidica che ha la metà dei suoi anni e lo guarda «con i suoi grandi occhi neri impauriti». «dio del cielo,» implorano le cameriere «fagli pagare la nostra umiliazione. ». Al lettore scoprire, in questo magnifico e crudele racconto lungo del fratello «più talentuoso» di isaac b. Singer (come ha scritto harold bloom), se colui che tutto può le ascolterà.
Alle soglie del novecento, il piccolo mario vive a roma in una famiglia benestante. Il giorno del suo settimo compleanno, dopo una passeggiata al parco, il bambino si immerge in un silenzio inconsueto. Pochi minuti dopo, però, riacquisite le forze, non riconosce più la premurosa madre, arianna, e anzi le chiede con insistenza di essere riaccompagnato dalla madre vera, luciana. Sconvolta, arianna asseconda il desiderio del bambino, che le chiede con fermezza di essere chiamato ramiro. La tensione drammatica cresce di pagina in pagina, esplodendo in una rivelazione sconcertante: non solo luciana abita davvero nella casa in cui mario accompagna arianna, ma ha perso un bambino di sette anni, ramiro, proprio sette anni prima, ossia nell'istante esatto in cui mario è nato. Che mario sia, dunque, la reincarnazione del figlio di luciana? O forse qualcuno lo ha plagiato, giocando sulla fatalità di coincidenze incredibili?
A stoccolma malaparte incontra il principe eugenio, fratello del re di svezia. E nella villa di waldemarsudden non può trattenersi dal raccontare ciò che ha visto nella foresta di oranienbaum: prigionieri russi conficcati nella neve fino al ventre, uccisi con un colpo alla tempia e lasciati congelare. È solo la prima di una fosca suite di storie che, come un novellatore itinerante, malaparte racconterà ad altri spettri di un'europa morente: ad hans frank, generalgouverneur di polonia, a diplomatici come westmann e de foxà, a louise, nipote del kaiser guglielmo ii. Storie che si annidano nella memoria per non lasciarla mai più: il ladoga, simile a 'un'immensa lastra di marmo bianco', dove sono posate centinaia e centinaia di teste di cavallo, recise da una mannaia; il console d'italia a jassy, sepolto dal freddo peso dei centosettantanove cadaveri di ebrei che sembrano precipitarsi fuori dal treno che li deportava a podul iloaiei, in romania; le mute di cani muniti di cariche esplosive che, in ucraina, i russi addestrano ad andare a cercare il cibo sotto il ventre dei panzer tedeschi. Storie, anche, malinconiche e gentili: quella dei bambini napoletani convinti dai genitori che gli aviatori inglesi sorvolano la città per gettar loro bambole, cavallucci di legno e dolci; o, ancora, quella delle ragazze ebree destinate al bordello militare di soroca. Storie che trascinano in un viaggio lungo e crudele, al termine del quale si vedrà l'europa ridotta a un mucchio di rottami.
La vigilia di natale, dopocena, gli uomini si siedono in cerchio attorno al camino a fumare la pipa, sorseggiando bicchieri di punch: non potrebbe esserci momento migliore per raccontare vecchie storie di fantasmi. D'altronde, se 'è risaputo che a natale tutti ne hanno già abbastanza di dover sopportare una casa piena di parenti vivi, senza bisogno che anche i fantasmi di quelli morti si mettano in testa di farsi una passeggiata' è anche vero che 'i fantasmi vanno sempre a passeggio la vigilia di natale, e quando i vivi si riuniscono la vigilia di natale, finiscono sempre col parlare di fantasmi'.
'strano destino quello del 'codice di perelà': uno dei vertici assoluti della narrativa italiana del novecento, eppure destinato a tutt'oggi a rimanere un capolavoro per 'happy fews'; anche se l'autore stesso nel 1958 non aveva mancato di dichiarare senza ambagi la sua predilezione per l'opera: 'perelà è la mia favola aerea, il punto più elevato della mia fantasia'. Se da una parte va considerato un esempio precoce di antiromanzo, dall'altra va letto come una favola allegorica: allegoria di una società e allegoria dell'impossibile opera di salvazione universale tentata, con la sua sola presenza e come 'malgré lui', dal protagonista, perelà, l'uomo di fumo. Non per niente l'opera ricalca in alcuni punti salienti la vita di cristo. Favola allegorica; romanzo ermetico che preclude gelosamente il proprio segreto; farsa, opera buffa, romanzo aperto, antiromanzo; opera impegnata sia pure indirettamente con le tensioni sociali del proprio tempo; libera fantasia poetica: coi suoi diversi piani e i molteplici suoi elementi, 'il codice di perelà' sembra respingere le interpretazioni onnicomprensive. Ma solo queste saranno all'altezza di un romanzo così vario, ricco e profondo: un libro che non smette di crescere col tempo che lo separa dalla sua apparizione. ' (dallo scritto di luciano de maria)
''il banchiere anarchico' è il resoconto di un semplice colloquio tra due uomini al tavolo di un ristorante, a fine pranzo. Un dialogo platonico, genere ricorrente nei manoscritti di pessoa, ma che è ben diverso dalle imitationes rinascimentali, come, per esempio, per rimanere in area portoghese, i 'dialogos em roma' di francisco de holanda o i più tardi quattro 'apologos dialogais' di francisco manuel de melo. In pessoa il dialogo non ha mai interlocutori reali. E nel nostro caso il banchiere, personaggio descritto come ricchissimo e monopolista, racconta come e perché sia sempre stato e ancora sia anarchico; mentre lo stupefatto e poco meno che muto spettatore è incapace di ergersi a convincente interlocutore. ' (ugo serani)
'parigi, 1906. Un uomo decide di impegnarsi in un'impresa folle: la ricerca del 'tempo perduto'. Il risultato non sarà una seconda vita ma un libro, in sette volumi, intitolato appunto 'alla ricerca del tempo perduto'. Marcel proust si congeda anzitempo dalla vita per riabbracciarla tutta intera in un grandioso romanzo. Una tattica suicida, direte voi. Sì, gli scrittori sono un club di suicidi, ma la vita è quella scemenza in cui tutto il mondo perduto della giovinezza, a volte, può riemergere d'un tratto nel sapore di un biscottino inzuppato nel tè. E allora, un romanzo, solo un grande romanzo può raddrizzare questo 'perpetuo errore che è esattamente la via'. ' (antonio scurati)
Nell'ungheria di inizio novecento le crisi politiche si succedono: l'equilibrio della monarchia austroungarica è sempre più precario, l'instabilità sta portando il paese al collasso e l'aristocrazia, che fino ad allora ha retto i destini dello stato, dimostra tutta la sua inettitudine. Attraverso gli occhi dei tre protagonisti - il giovane conte bàlint abàdy, che è appena tornato da una missione diplomatica all'estero per assumere un ruolo di alta responsabilità politica; suo cugino làszló gyeröffy, un artista promettente; e la sua amica adrienne miloth, una sposa infelice - il romanzo rivela al lettore gli avvenimenti politici e sociali che portarono alla caduta dell'impero. Grandi battute di caccia, balli sontuosi, duelli, corse a cavallo, banchetti, fortune dilapidate al tavolo da gioco, sono lo sfondo di questo appassionante e profetico romanzo: il perfetto ritratto di una classe sociale che era in procinto di scomparire per sempre. Scritto negli anni trenta e prima parte di una trilogia, 'dio ha misurato il tuo regno' è pervaso da un profondo senso di smarrimento e di perdita che accomuna i protagonisti, tutti a loro modo 'senza qualità', ma al tempo stesso insoddisfatti della propria esistenza; l'ungheria nel suo complesso, che anche per proprie colpe si sta ormai lasciando alle spalle i decenni di maggiore ricchezza per avviarsi verso una lunga fase di decadenza; e la transilvania in particolare che dovrà fare i conti con gli imprevedibili sviluppi della politica.