Le eroine dei fumetti le invitano a essere belle. Le loro riviste propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nei loro libri scolastici, le mamme continuano ad accudire la casa per padri e fratelli. La pubblicità le dipinge come piccole cuoche. Le loro bambole sono sexy e rispecchiano (o inducono) i loro sogni. Questo è il mondo delle nuove bambine. Negli anni settanta, elena gianini belotti raccontò come l'educazione sociale e culturale all'inferiorità femminile si compisse nel giro di pochi anni, dalla nascita all'ingresso nella vita scolastica. Le cose non sono cambiate, anche se le apparenze sembrano andare nella direzione contraria. Ad esempio, libri, film e cartoni propongono, certo, più personaggi femminili di un tempo: ma confinandoli nell'antico stereotipo della fata e della strega. Sembra legittimo chiedersi cosa sia accaduto negli ultimi trent'anni, e come mai coloro che volevano tutto (il sapere, la maternità, l'uguaglianza, la gratificazione) si siano accontentate delle briciole apparentemente più appetitose. E bisogna cominciare con l'interrogarsi sulle bambine: perché è ancora una volta negli anni dell'infanzia che le donne vengono indotte a consegnarsi a una docilità oggi travestita da rampantismo, a una certezza di subordine che persiste, e trova forme nuove persino in territori dove l'identità è fluida come il web.
L'opera scientifica che più di ogni altra ci ha avvicinato, in questi ultimi anni, a quel 'teatro segreto fatto di monologhi senza parole e di consigli prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e i misteri' che si chiama 'coscienza'.
Il nichilismo, la negazione di ogni valore, è anche quello che nietzsche chiama 'il più inquietante fra tutti gli ospiti'. Si è nel mondo della tecnica e la tecnica non tende a uno scopo, non produce senso, non svela verità. Fa solo una cosa: funziona. Finiscono sullo sfondo, corrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, senso, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si è nutrita l'età pretecnologica. Chi più sconta la sostanziale assenza di futuro che modella l'età della tecnica sono i giovani, contagiati da una progressiva e sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell'esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. I giovani rischiano di vivere parcheggiati nella terra di nessuno dove la famiglia e la scuola non 'lavorano' più, dove il tempo è vuoto e non esiste più un 'noi' motivazionale. Le forme di consistenza finiscono con il sovrapporsi ai 'riti della crudeltà' o della violenza (gli stadi, le corse in moto). C'è una via d'uscita? Si può mettere alla porta l'ospite inquietante?
Che ne abbiamo fatto della liberazione sessuale conquistata negli anni sessanta? «in queste pagine, incisive e leggere, ecco l'impronta del buon senso e dell'esperienza. Insieme al coraggio di pensare controcorrente. » - le figaro«per stare insieme a qualcuno, bisogna innanzitutto essere qualcuno. » è la domanda che si pone thérèse hargot, scrittrice e terapeuta, forte di un'esperienza decennale nelle scuole a contatto con gli adolescenti. Invece di renderci più liberi – questa è la sua risposta – tale liberazione ci ha portato da un'obbedienza a un'altra: dal 'non bisogna avere relazioni sessuali prima del matrimonio' al 'bisogna avere relazioni sessuali il prima possibile'. I giovani credono di essersi affrancati dai divieti, ma spesso si trovano più imprigionati di prima. Se un tempo l'imperativo di restare vergini fino alle nozze li deprimeva, ora a deprimerli (e confonderli) è l'imperativo opposto, ovvero quello di misurarsi fin da subito con la propria sessualità. Il facile accesso al porno, l'ansia della performance, l'ossessione dell'orientamento sessuale. Che libertà è questa, che impone di scegliere l'identità, gli amori, le pratiche come un mero prodotto di consumo? Grazie a numerose testimonianze, l'autrice – con coraggio, sfidando le polemiche che si sono puntualmente scatenate dopo la pubblicazione del libro in francia – affronta, in modo rigorosamente laico, i problemi dei ragazzi, invitandoli a ripensare la loro vita affettiva e sessuale, per renderla davvero gioiosa.
Riscoprire il coraggio – di vivere, amare, educare – nella nostra società ipertecnologica paolo crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica, un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare…). Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro.
Medico, psichiatra, psicoanalista, jacques lacan (1901-1981) è stato una delle personalità più significative nella cultura del novecento e nella storia della psicoanalisi del dopo-freud. Il suo riferimento costante e rigoroso ai fondamenti della clinica psicoanalitica s'interseca con l'utilizzo critico delle teorizzazioni più avanzate proprie della linguistica, della filosofia, della logica, dell'antropologia, della letteratura e della psichiatria. Scritto da due psicoanalisti di generazioni diverse ma formatisi entrambi alla scuola di lacan, questo libro offre al lettore un'esposizione chiara e rigorosa dell'insegnamento lacaniano.
Medico, psichiatra, psicoanalista, jacques lacan (1901-1981) è stato una delle personalità più significative nella cultura del novecento e nella storia della psicoanalisi del dopo-freud. Il suo riferimento costante e rigoroso ai fondamenti della clinica psicoanalitica s'interseca con l'utilizzo critico delle teorizzazioni più avanzate proprie della linguistica, della filosofia, della logica, dell'antropologia, della letteratura e della psichiatria. Scritto da due psicoanalisti di generazioni diverse ma formatisi entrambi alla scuola di lacan, questo libro offre al lettore un'esposizione chiara e rigorosa dell'insegnamento lacaniano.
Il corpo di giobbe e la sua anima sono lacerati dal male; «nudo e rasato», ricoperto di piaghe, cade nella cenere. La preghiera può prendere solo la forma acuta del grido rivolto a dio: «perché a me? Perché l'ingiustizia di tutto questo dolore? »il male che si accanisce contro giobbe non può piú essere concepito come una punizione, poiché egli non ha commesso alcun delitto; non può piú essere una vendetta, poiché egli non ha colpito nessuno. Nel trovarsi esposto alla violenza insensata della sofferenza giobbe si trova immerso in una esperienza intraducibile. Resta solo il grido rivolto a dio come il modo piú radicale della domanda. La stessa che egli porta nell'etimo del suo nome: giobbe significa nella lingua ebraica « dov'è il padre? » domanda che sovrasta ogni possibile risposta. «il dolore di giobbe – come scrive recalcati – non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia, come nessuna altra forma di sapere, è in grado di spiegarne l'eccesso». Il grido di giobbe accade quando le parole sono costrette al silenzio, spezzate dal trauma del male. Esso non è indice di rassegnazione ma di lotta e di resistenza. Dopo la notte del getsemani e il gesto di caino, con il grido di giobbe continua l'intenso e sorprendente viaggio di massimo recalcati lettore della bibbia, impegnato a rintracciare l'eredità piú profonda del pensiero psicoanalitico che si concluderà, a breve, con un'ampia e attesa opera.