Sono passati quindici anni dalla terribile estate che, con i due attentati di punta raisi e di via d'amelio, segnò forse il momento più drammatico della lotta contro la mafia in sicilia. Giovanni falcone e paolo borsellino restano due simboli, non solo dell'antimafia, ma anche di uno stato italiano che, grazie a loro, seppe ritrovare una serietà e un'onestà senza compromessi. Ma per giuseppe ayala, che di entrambi fu grande amico, oltre che collega, i due magistrati siciliani sono anche il ricordo commosso di dieci anni di vita professionale e privata, e un rabbioso e mai sopito rimpianto. Ayala rappresentò in aula la pubblica accusa nel primo maxi-processo, sostenendo le tesi di falcone e del pool antimafia di fronte ai boss e ai loro avvocati, interrogando i primi pentiti (tra cui tommaso buscetta), ottenendo una strepitosa serie di condanne che fecero epoca. E fu vicino ai due magistrati in prima linea quando, dopo questi primi, grandi successi, la reazione degli ambienti politico-mediatici vicini a cosa nostra, la diffidenza del csm e l'indifferenza di molti iniziarono a danneggiarli, isolarli. Per la prima volta, ayala racconta la sua verità, non solo su falcone e borsellino, che in queste pagine ci vengono restituiti alla loro appassionata e ironica umanità, ma anche su quegli anni, sulle vittorie e i fallimenti della lotta alla mafia, sui ritardi e le complicità dello stato, sulle colpe e i silenzi di una sicilia che, forse, non è molto cambiata da allora.