A vent'anni dal 'vangelo secondo gesù cristo', josé saramago torna a occuparsi di religione. Se in passato il premio nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del nuovo testamento, ora si cimenta con l'antico. E sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza l'offerta di caino, provocando così l'assassinio di abele. Il destino di caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell'umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo avventuriero un po' mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall'eden, le avventure con l'insaziabile lilith, il sacrificio di isacco, la costruzione della torre di babele, la distruzione di sodoma, l'episodio del vitello d'oro, le prove inflitte a giobbe, e infine la vicenda dell'arca di noè. Riscrittura ironica e personale della bibbia, invenzione letteraria di uno scrittore nel pieno della maturità, compone un'allegoria che mette in scena l'assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini.